Da parecchi anni amo sempre meno andare al cinema, perché non ci sono più le sale cinematografiche di una volta, quasi tutte sono state chiuse, sostituite dalle multi sale, spesso ubicate in scheletriche cattedrali nel deserto, dove si trova di tutto, anonimi paesi dei balocchi, templi di un consumismo oramai in coma profondo. Sono posti che non sopporto, ma ovviamente non tutti i gusti sono uguali, per cui se esistono un motivo ci sarà. Andare a vedere un film in una di quelle belle sale, che oramai sono quasi solo un ricordo, aveva un fascino che oggi non trovo più, inoltre mi è capitato spesso di seguire l’intricata trama di un film disturbato da vicini di poltrona che masticavano popcorn rumorosamente dopo averlo altrettanto rumorosamente estratto da enormi contenitori. Comunque ogni tanto c’è qualcuno che riesce a portarmi a vedere un film, raramente ma qualche volta accade. Mi fido della scelta e mi lascio guidare, generalmente la fiducia viene ripagata e apprezzo la pellicola. Ovviamente se capita il contrario non ritengo responsabile chi mi ha coinvolto nell’impresa, giacché come già detto non tutti i gusti sono uguali. Devo dire che in tanti anni, anche quando frequentavo le sale cinematografiche con regolarità, ho visto film belli e film brutti, comunque mai ho lasciato la sala prime dei titoli di coda, non solo per educazione, anche se sentivo la necessità di farlo. Qualche sera fa una mia amica cinefila mi ha portato, in una delle ultime vecchie care sale di un tempo, a vedere un film a cui teneva molto e che non voleva perdere, La grande bellezza, di Paolo Sorrentino, già autore de Il Divo. Uscito con grande clamore, presentato al Festival di Cannes 2013, pare che abbia avuto grande successo di pubblico. Orbene ho fatto fatica a restare in sala per i circa 150 minuti, più volte sono stato tentato di abbandonare l’impresa e non l’ho fatto solo per rispetto alla persona che era con me. Non discuto sulla tecnica cinematografica, sulla bella fotografia che mette in risalto una Roma ricca, mondana, ma anche corrotta, degradata. Sorrentino con molta presunzione crede di fare il verso al mitico Fellini de La dolce vita, o più ancora forse di 8½, ma ne viene fuori un’opera arrogante e pretenziosa, che irrita e indispone lo spettatore che si trova di fronte a una cosa senza soluzione, inconcludente e senza senso, zeppa di buchi nella sceneggiatura e costruita su un soggetto inesistente. Da evitare! Insomma la “bellezza” è rimasta solo nel titolo.
Fabrizio Scarpa – 17 luglio 2013 “il Mercoledì” numero 28 anno XIX