Lo so che molti dei miei affezionati lettori si aspettano che Mangiafuoco commenti l’insediamento del parlamentino moncalierese, guidato dal neo-sindaco Roberta Meo. E invece no! Le pagine del “nostro” settimanale riportano dettagliatamente ruoli e programmi e poi, per scaramanzia, preferisco non ripetere quanto feci tre anni fa con un angolo “ottimista”. I fatti troppo presto mi smentirono e mi dovetti inchinare al “gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare!”. Non a caso riporto in virgolettato questa frase, in quanto resa famosa da un grande protagonista del ciclismo (e non solo), Gino Bartali, detto Ginettaccio, classe 1914, toscano purosangue, senza peli sulla lingua, avversario di un altro mito, Fausto Coppi, classe 1919, piemontese della bassa alessandrina, dal carattere ben più schivo. Tutti ricordiamo la foto, scattata durante un tappone del Tour de France 1952, che immortala Coppi davanti e Bartali dietro che “si passano” una borraccia. Chi la passasse a chi resta ancora oggi un mistero, entrato nella leggenda, mai perfettamente chiarito e volutamente preservato dai due protagonisti. Sta di fatto che quell’anno Fausto arrivò a Parigi in maglia gialla, per la seconda volta dopo il 1949, anno in cui aveva stravinto anche un Giro d’Italia passato alla storia per la tappa Cuneo-Pinerolo, dove dopo 192 chilometri di fuga solitaria giunse al traguardo con 12 minuti di vantaggio proprio sul trentacinquenne Ginetaccio. A Bartali piaceva mangiare e bere, anche prima di una gara, mentre Coppi, quasi vegetariano, era molto attento alla dieta, ed era per questo definito dall’amico-rivale “acquaiolo”, che in gergo fiorentino attribuiva scarso valore a un uomo che non beveva un poco di vino. Grande tifoso bartaliano l’Anticosaggio, che non solo per motivi anagrafici ha “vissuto” le gesta compiute nel dopo guerra dai due grandi campioni. Chissà la dolce Numerotredici per chi parteggiava? Grave mancanza non averglielo chiesto, mi perdonerà?
Gino Bartali è morto il 5 maggio 2000, quaranta anni dopo Fausto Coppi, ucciso dalla malaria (forse sarebbe bastato il chinino a salvarlo) il 2 gennaio 1960.
Fabrizio Scarpa – 5 maggio 2010
“il Mercoledì” – numero 18 anno XVI