Questa settimana Mangiafuoco ospita l’Anticosaggio con un commento su Pietro Mennea.
«Anno 1960, Olimpiadi di Roma. Ho 20 anni. Livio Berruti ha 21 anni, la sua è la prima olimpiade e vince l’oro nei 200 metri. Nel ricordo e nel filmato sembra una passeggiata. Berruti, in terza corsia, esce per primo dalla curva e nel rettilineo avanza con falcate lunghe e leggere, quasi senza sforzo apparente. Taglia il traguardo e vince e si volta e, da dietro gli occhiali, guarda i suoi avversari battuti. Dietro di lui ci sono le frecce nere USA. Anno 1980. Olimpiadi di Mosca. Ho 40 anni. Pietro Mennea ha 28 anni, la sua è la terza olimpiade (nel 1972 a Monaco aveva vinto il bronzo) e vince l’oro nei 200 metri. Nel ricordo e nel filmato tutto è ferocemente difficile. Mennea esce in ritardo dalla curva, è sesto su otto, e il rettilineo è tutto in salita e Mennea rimonta tignoso e irresistibile, una rimonta incredibile, impressionante. Taglia il traguardo e vince e alza le braccia. Dietro di lui non ci sono le frecce nere USA, tenute a casa per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Adesso Mennea è morto. Tutto è un Viva Mennea! Tutto è onore e lode per Mennea. Ma nel corso della sua lunga carriera di sprinter e della sua vita di uomo Mennea non ha raccolto la simpatia che meritava. Il suo carattere era complesso e difficile. Quel carattere che lo ha portato a non essere soddisfatto delle fatiche che ha messo negli allenamenti e nelle gare, delle vittorie sportive che ha ottenuto, delle quattro lauree che ha conseguito, dei successi professionali. L’uomo Mennea, lottatore e insoddisfatto e tormentato e schivo. Mennea, barlettano delle Puglie, si definiva negro d’Italia. Perché lui così si sentiva. E anche perché così molti lo trattavano. Il negro bianco un po’ antipatico che esibivano nei salotti dello sport perché lui vinceva. Mennea mi ha fatto gioire, come sempre quando vedo quelli che corrono, anche quando non vincono. Ancora adesso, a 73 anni, mi ritrovo con il groppo alla gola e le lacrime agli occhi nei finali delle gare. Mennea è morto e Viva Mennea! Tutti lo celebrano. Molti di quelli che non l’hanno stimato, che l’hanno disprezzato, che l’hanno usato, sono morti prima di lui, che è morto giovane. Me lo auguro mentre corre sulle piste eternamente elastiche, sui prati eternamente teneri e verdi, con la sua maglietta azzurra striminzita e le sue braghette svolazzanti. Quando qualcuno taglia il traguardo della vita, non è questo il momento di piangere, anche se qualche lacrimuccia scivola giù.»