«Dal profondo della notte che mi avvolge, nera come un pozzo da un polo all’altro, ringrazio qualunque dio esista, per la mia anima invitta. Nella feroce morsa della circostanza non ho arretrato né gridato. Sotto i colpi d’ascia della sorte il mio capo è sanguinante, ma non chino. Oltre questo luogo d’ira e di lacrime incombe il solo Orrore delle ombre. E ancora la minaccia degli anni mi trova e mi troverà senza paura. Non importa quanto stretto sia il passaggio, quanto piena di castighi la vita, io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima.». Questa poesia è stata scritta nel 1875 da William Ernest Henley, così tanto amico di Robert Louis Stevenson da ispirargli il personaggio di Long John, il pirata de L’isola del tesoro, “un grosso, sanguigno individuo dalle spalle larghe, con una gran barba rossa e una stampella, gioviale, sorprendentemente arguto, con una risata che scrosciava come musica e con una vitalità e una passione inimmaginabili, da renderlo assolutamente travolgente”. Ma questa poesia, a cui solo agli inizi del ‘900 venne attribuito il titolo Invictus, è in qualche modo passata alla storia per essere stata la compagna silenziosa nella lunga carcerazione di un grande uomo che è morto il 5 dicembre, a 95 anni, dopo avere lasciato un segno indelebile del suo passaggio terreno, Nelson Mandela. Mandela è stato un leader del movimento anti-apartheid nel Sudafrica, e ha avuto un ruolo fondamentale nella caduta del regime razzista. Il suo attivismo anti-segregazionista lo portò a passare quasi trentanni in carcere, fino al febbraio del 1990 quando fu liberato a furor di popolo, grazie alle pressioni provenienti da tutto il mondo e all’operato fondamentale dell’allora Presidente sudafricano F.W. De Klerk, con il quale nel 1993 condivise il Premio Nobel per la pace. Mandela, da tutti affettuosamente chiamato Madiba, è stato Presidente del Sudafrica dal maggio 1994 al giugno 1999, con De Klerk vicepresidente, e fino al suo ritiro dalla vita pubblica, avvenuto nel 2004, ha continuato a sostenere le organizzazioni per i diritti civili, sociali e umani. Fiumi di parole scorrono su di lui in questi giorni, qualcuno ha detto che non bisogna piangere per la sua morte ma gioire per la sua lunga vita nella quale ha saputo impegnarsi in battaglie importanti per l’umanità intera. Ecco io credo che tutto il mondo debba ringraziare Mandela, e tanta strada ancora c’è da fare contro il razzismo, una strada che lui ha segnato indissolubilmente. Grazie Madiba, che la terra ti sia lieve, di certo non te ne starai con le mani in mano neppure nei Verdi Pascoli, riposa in pace.
Fabrizio Scarpa – 11 dicembre 2013 “il Mercoledì” n° 45 anno XIX
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