Questa volta mi “garba” (così usano dire in Toscana), parlare di Mangiafuoco. Lo trovo un “tanticchio” doveroso, ovverosia lo devo ai lettori, soprattutto, ma anche un poco a chi scrive, cioè a me. Mangiafuoco, questo naturalmente, quello degli angoli, è nato all’inizio degli anni ottanta, quando ho incominciato a tentare di frequentare più seriamente le tavole del palcoscenico, dalle quali in verità facevo venire fuori la polvere già da qualche lustro. Con un gruppo di irriducibili, almeno a quel tempo, appassionati di teatro, avevamo da qualche mese messo su una vera e propria compagnia teatrale, frutto dell’esperienza maturata in una filodrammatica parrocchiale. Mi piace citare alcuni dei coraggiosi con i quali si è poi fatta parecchia strada: Luigi, Piergiorgio, Mariangela, vari Maurizio e Renato, Fulvio, Carlo, Maristella, Piera, Domenico, Daniele, poi Franca, Michele, Adriana, Chiara, i “maestri” Giuseppe detto Franco ed Eugenio, Laura, e tanti, tantissimi altri, ma in particolare Attilio, che di tutti fu quello che tirò la prima pietra, nascondendo poi la mano, facendo da vero e proprio motorino d’avviamento. Mettemmo le mani su una filastrocca scritta per la radio da Gianni Rodari: MARIONETTE IN LIBERTA’. Un “puparo” possedeva una mezza dozzina di marionette, da non confondere con i burattini, che sono quelli che si manovrano infilati nelle mani, e non dall’alto con i fili. Il suo nome era Don Fernando Malvasia, e aveva una particolare predilezione per i vini, bianchi o indifferentemente rossi. Ne venne fuori un personaggio che ricordava il molto più famoso Mangiafuoco del PINOCCHIO di Carlo Collodi. Ancora oggi, a cinquantasette anni compiuti, continua a farmi compagnia.
Fabrizio Scarpa
il Mercoledì nr. 32/XIII – Moncalieri 12 settembre 2007