Durante di Alighiero degli Alighieri, meglio conosciuto come Dante, o il Sommo Poeta o, per antonomasia, il Poeta, a ragion veduta è considerato il “padre” della lingua italiana e circa settecento anni fa, in lingua volgare fiorentina, cioè del popolo, e in terzine incatenate di versi endecasillabi, scrisse la Comedia, diventata poi la Divina Commedia, capolavoro della letteratura mondiale, che fu definita “il medio evo realizzato come arte”. Cento canti, divisi equamente in tre cantiche, Inferno (che ne ha uno in più), Purgatorio e Paradiso, che narrano del viaggio del poeta nei tre regni ultraterreni. Mi auguro che tutti, non solo per obbligo scolastico, l’abbiano letta e magari riletta, giacché a distanza di secoli rimane di una attualità sconcertante per la sua drammatica rappresentazione della realtà, certo con intenti religiosi e morali ma con un linguaggio che materializza con grande immediatezza, nella mente di chi legge, ciò che viene descritto. E nel Canto III dell’Inferno Dante incontra una particolare categoria di peccatori, che nella loro vita terrena non agirono né nel bene né nel male, senza mai avere una propria idea, senza mai schierarsi, condannati in eterno a girare nudi intorno a un cencio insignificante, perennemente punti da calabroni, vespe e miriadi di altri insetti armati di pungiglione, con il loro sangue e le loro lacrime che si mescolano al fango dell’Inferno, cadaverici morti viventi sepolti vivi, straziati dai vermi. Il disprezzo del Poeta per questi dannati è tanto grande da fargli dire di costoro “che mai non fur vivi”. Tra gli Ignavi (scusate non ve li avevo ancora presentati!) possiamo forse incontrare il Papa del gran rifiuto, Celestino V, o forse Ponzio Pilato oppure Esaù, che per un piatto di legumi vendette la sua primogenitura. Caro Durante di Alighiero degli Alighieri, detto Dante, chissà cosa potresti scrivere oggi per quello che avviene nella politica, nella economia, nello sport, nella quotidianità del tuo, del nostro paese, ma non solo di quello, perché “tutto il mondo è paese” anche se “non bisogna fare di tutta l’erba un fascio”, quanti argomenti avresti per intingere la tua penna (d’aquila?) nel tuo calamaio? Non è di certo una consolazione il fatto che nei secoli dei secoli tutto si ripete; l’ignavia continua a proliferare e forse si insinua anche in me e, purtroppo, in tanti altri. Leggete la Divina Commedia, anche se già l’avete letta. Bentornati a “il Mercoledì”!
Fabrizio Scarpa – 7 settembre 2011
“il Mercoledì” numero 32 anno XVII