“Combattenti di terra, di mare e dell’aria, Camicie Nere della Rivoluzione e delle Legioni, uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno di Albania, ascoltate! … La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna … La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti … : vincere! E vinceremo …”. Era il 10 giugno 1940 e così, dal balcone di Piazza Venezia a Roma, di fronte a una folla in visibilio, e via radio nelle case e nelle piazze del resto della nazione, il Duce annunciava l’entrata in guerra al fianco dell’alleato germanico. Una decisione che si rivelerà devastante per il nostro paese. Il giornalista Enzo Biagi in un suo libro molti anni dopo scriverà: “Mussolini è stato un gigante; considero la sua carriera un capolavoro. Se non si fosse avventurato nella guerra al fianco di Hitler, sarebbe morto osannato nel suo letto. Il popolo italiano era soddisfatto di essere governato da lui: un consenso sincero”. Mussolini, restaurando i fasti dell’Impero Romano, recuperando i “territori irredenti” (il Trentino, la Venezia Giulia, Fiume, la Dalmazia, ma anche Nizza e la Savoia, la Corsica, Malta, la Svizzera Italiana e le Isole Ionie), e imponendo il controllo italiano sul mediterraneo, voleva fare dell’Italia un paese rispettato e temuto. Il consenso non era unanime ma di sicuro era molto forte. Del resto grandi ammiratori del Duce erano stati Churchill, Roosevelt, Gandhi, i papi Pio XI e Pio XII, e anche il governo francese. Hitler considerava Mussolini suo maestro: “ … concepii profonda ammirazione per il Duce che decise di non spartirsi l’Italia col marxismo ma di salvare la sua patria dal marxismo, distruggendolo … “. Sono trascorsi settanta anni da quel 10 giugno, epilogo tremendo del ventennio della dittatura fascista, che a una parte degli italiani tolse ogni tipo di libertà fino a portare alla guerra civile. Tutto il resto è storia. Una storia che nei secoli ci ha insegnato ben poco, tanto che ci ritroviamo a vivere un momento in cui una classe politica incapace e una grave crisi economica stanno mettendo ad alto rischio la democrazia, così faticosamente conquistata.
Possibile che non si impari mai nulla dai disastri del passato?

Fabrizio Scarpa – 9 giugno 2010
“il Mercoledì” numero 23 anno XVI

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