Generalmente i comuni mortali scelgono come passatempo dei diversivi piacevoli, per lo svolgimento dei quali si trovano a impiegare una buona parte delle loro entrate: giocano a golf o a tennis, sciano, veleggiano (meglio se con la barca di proprietà), collezionano oggetti e gingilli di vario tipo e forma. Io e il mio amico Gingio – non se la avrà a male se mi accomuno a lui dato che, tra le altre cose, insieme abbiamo scontato il massimo della “pena” a Moncalieri, nelle “prigioni scolastiche” carlo albertine dei mitici Padri Barnabiti – abbiamo fatto una scelta diversa, trattando l’hobby come lavoro e il lavoro come hobby. Avremmo potuto essere lui un ottimo avvocato e io un bravo medico, o chissà che altro, e nel tempo libero dedicarci a svariate passioni (lui è stato un buon rugbista!). Abbiamo intrapreso, come lavoro, lo stesso “hobby”, mai follemente amato, che ci ha permesso di vivere in modo più che dignitoso, con una discreta tranquillità economica: abbiamo fatto i bancari. I nostri “mestieri” sono sempre stati altri, per me il teatro, o meglio «jouer au theatre» come dicono i francesi, per Gingio la cucina. E’ infatti un eccellente cuoco, ma soprattutto un ricercatore, e difensore, delle tradizioni culinarie del Piemonte, tanto da raccogliere, in un delizioso libello, cento ricette accompagnate da ricordi aneddoti e appunti vari. Cercatelo in edicola o in libreria, ecco il titolo: IL BUONGUSTAIO PIEMONTESE (Mangè, venta mangè) ovvero “Eppur mangiar si deve”, di Gingio Tesino Nasini.

Fabrizio Scarpa – 21 marzo 2007
“il Mercoledì” – numero 11 anno XIII

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