Il sogno di un ragazzo di diciotto anni dopo quasi cinque lustri si è trasformato in realtà! Beppe Miletto, alla guida di un ottimo cast del “suo” Laboratorio Teatrale di Cambiano ha messo in scena Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, considerato il capolavoro dell’autore statunitense, firmando la regia di quella che non è solo un’opera letteraria, ma una vera e propria critica del sogno americano, una denuncia verso una società che considera il denaro, la produttività e il successo le basi fondamentali di ogni essere umano, e chi non possiede queste cose si ritrova inevitabilmente emarginato. Ci troviamo di fronte al trionfo assoluto dell’apparire sull’essere. Così Beppe Miletto fa da guida nella lettura di Morte di un commesso viaggiatore: «Come in tutte le opere teatrali moderne di un certo spessore, anche in questo testo di Miller si arriva facilmente ai primi tre livelli di lettura, mentre il quarto rimane più occulto. Il primo è quello a cui può accedere anche un bambino, la narrazione semplice, i fatti che succedono, la storia nuda e cruda. Il secondo è il profilo psicologico dei personaggi, il perché agiscono in un determinato modo, le loro reazioni e di conseguenza le relazioni che si creano tra di loro. Il tema dominante è la proiezione di Willy Loman nel figlio Biff, pensato capace di realizzare qualsiasi traguardo. Il terzo livello è il contesto sociale e storico in cui si svolge la vicenda. Ovviamente più è attenta e illuminata la scrittura dell’autore, più l’emersione delle letture è armonica e conseguente. Per accedere al terzo livello lo spettatore deve possedere le cognizioni necessarie a comprendere come i primi due livelli siano in qualche misura determinati dal terzo. Willy Loman vive nell’America del dopoguerra, mentre il suo sogno di vita lo aveva maturato prima del 1929, anno della grande crisi finanziaria. Nel 1928 un americano poteva sognare di arricchirsi, di farsi una Chevrolet, di diventare qualcuno. Infine il quarto livello è quello spirituale, una fuga metaforica verso l’occulto. Il rapporto del protagonista con il fratello Ben, proiezione della sua immaginazione, è la metafora del rapporto dell’americano medio con Dio. In God we trust è il leitmotiv del sogno americano: se tutto va bene è perché Dio è con noi, altrimenti siamo noi ad aver demeritato il suo aiuto e quindi ci meritiamo la rovina. È quel Dio Ben che spinge Willy Loman a cercare il suo sogno americano e a trovare, approvandola, la soluzione finale letale, quando tutte le altre strade sono chiuse!». Con orgoglio ho interpretato Ben,  con fantastici compagni di avventura sul palco, guidati da Beppe, in uno spettacolo intenso e commuovente, che meriterebbe ancora più visibilità.

Un sogno … americano

Fabrizio Scarpa – 25 aprile 2018

“il Mercoledì” n° 17 anno XXIV

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