Pochi giorni fa un “ragazzo” ha compiuto 37 anni. Anche mio figlio Ettore ha compiuto 37 anni, da qualche mese, a maggio per l’esattezza. Non c’è nulla di eccezionale a compiere 37 anni, è un’età in cui, come direbbe il Poeta, si è giunti “nel mezzo del cammin di nostra vita”, esclusivamente come media matematica. Il fatto un poco più curioso è che un “ragazzo” compia 37 anni mentre ha deciso di continuare a rincorrere un pallone, in maglietta e pantaloncini, sui campi della serie A del calcio, dopo avere rinnovato il contratto ancora per qualche anno, sempre con la stessa società nella quale gioca da più di venti anni. A pochi minuti dalla fine di una partita a Brescia, che viene ricordata solo per questo fatto specifico, l’allora allenatore della Roma Vujadin Boskov (“un grande giocatore vede autostrade dove altri solo sentieri”) fa entrare in campo un biondino non ancora diciassettenne in sostituzione del centravanti titolare, segnando così l’esordio ufficiale di quello che oggi è il secondo cannoniere di tutti tempi, dietro al mitico Silvio Piola. L’Italia era in piena crisi politica, travolta da Tangentopoli, i grandi partiti erano allo sbando e un quasi sconosciuto imprenditore milanese, di cui si sentirà parlare a lungo, non era ancora “sceso in campo per evitare al suo paese di finire nelle mani dei comunisti”. Venti anni dopo l’Italia è in piena crisi politica (ed economica) e quel biondino continua a giocare al calcio, divertendosi nonostante le botte e gli infortuni, ed è diventato il simbolo dell’attaccamento ai colori della sua squadra, forse l’ultimo di una specie in via di estinzione, di certo il più longevo dopo il benservito dato dalla Juventus ad Alex Del Piero. Di Francesco Totti si può dire di tutto e di più, a molti può stare antipatico, molti ricordano soprattutto alcune sue intemperanze durante le partite, ma non si può negare che sia già entrato nella leggenda del gioco del calcio, un mondo dove oggi girano milioni di euro come fossero bruscolini, un mondo fatto solo di mercenari, che non sentono più la maglia della squadra per cui giocano come se fosse una seconda pelle. Ne sono rimasti pochi come Totti, il portiere della nazionale Gigi Buffon e l’interista Zanetti, altri sono stati trattati a pesci in faccia dalle società di appartenenza, a dispetto dell’affetto dei tifosi, come il “capitano” del Toro Rolando Bianchi, forse non un campione ma di certo un “uomo”. Provo grande simpatia per Francesco Totti e quando un giorno appenderà definitivamente le scarpette al chiodo per me metterà la parola fine all’ultimo capitolo della storia bella del calcio.
Fabrizio Scarpa – 2 ottobre 2013 “il Mercoledì” numero 35 anno XIX